Lo so che qualcuno tra i critici ha sparato a zero su 1917, contestando le nominations agli Oscar…ma per una volta non sono d’accordo con loro. Io il film l’ho amato, eccome. Perchè Sam Mendes (regista teatrale di nascita che è riuscito a fare alcuni dei film più belli degli ultimi anni, compreso lo 007 della rinascita, Skyfall) è riuscito ad emozionarmi con quello che viene considerato spesso un esercizio di stile, ovvero il piano sequenza. In ogni minuto del film. Fino al finale (che non spoilero), in ognuno di quei minuti, io sono rimasta dentro lo schermo. Una storia semplice e già vista al cinema: la coppia di soldati con la missione impossibile, consegnare un ordine e salvare la vita di centinaia di commilitoni. Ma siamo nel 1917, in un’Europa resa terra di nessuno dalla Prima Guerra Mondiale, ferita da chilometri di trincee. E’ lì che vediamo i due soldati Blake e Schofield (Dean-Charles Chapman e George MacKay) sudare, camminare nel fango, nel sangue, con lo sguardo atterrito, attraversare le macerie, spesso correndo. E noi con loro…
1917 è un film di guerra, un film di azione, dove si parla più che sparare, dove le emozioni, la paura, l’assurdità della guerra ci viene ricordata ad ogni inquadratura. Alcune magnifiche, non a caso alla macchina da presa Mendes ha scelto il migliore, quel Roger Deakins che forse si porterà a casa l’ennesima statuetta, la notte del 9 febbraio . Meritandosele tutte. Un film a colori, ma colori coperti dalla polvere e dalla stanchezza di quei soldati che come Forrest Gump sono costretti a correre per vivere. E per far vivere.
Il film è dedicato al nonno di Sam Mendes, dai cui racconti il regista dice di aver tratto ispirazione non per la vicenda ma per lo spirito che permeava quei soldati. E per una volta mi è sembrato che l’uso della tecnica, e anche quello che poteva essere uno sfoggio virtuosistico del regista, ovvero la scelta di girare tutto in sequenza, senza tagli, sia utile allo scopo, ovvero a rendere quello spirito e le emozioni. Siamo con Blake e Schofield dal primo all’ultimo momento, non li molliamo mai. Perchè Roger Deakins non li molla, e noi con lui.
E c’è un’altra cosa che ho amato di 1917, che dal 23 gennaio trovate al cinema. Sam Mendes, come provano i ruoli di contorno, i cameo all’inizio e alla fine del film, avrebbe potuto lavorare con chiunque. Ma ha scelto due ragazzi che conoscevamo…ma non tanto da distrarci dalla loro azione sul campo. Blake è il Dean Charles Chapman conosciuto ne Il trono di Spade, Schofield è George Mackey, il magnifico figlio adolescente di Viggo Mortensen in Capitan Fantastic. Un contadino e un borghese, due ventenni che hanno perso amici e sogni in trincea, ma ancora con una profonda etica del proprio dovere.
A consegnargli il messaggio cruciale del film, da recapitare oltre le linee nemiche, è Colin Firth, ad aspettarlo c’è Benedict Cumberbatch, sulla strada Mark Strong e Richard Madden. Una unica donna, quasi per caso, sul loro cammino.
Trincee, ideali, follia della guerra, cast nel quale spunta una unica donna e per pochi minuti…certo, anche a me viene in mente Orizzonti di Gloria. E credo che nessun regista possa avvicinarsi a quel mondo senza pensare a Kubrick. Ma credo che 1917 sia un film europeo, e non tanto per le location e per gli attori, della miglior scuola britannica, per il modo in cui ha raccontato gli uomini e i loro sentimenti.